Il lavoro invisibile del traduttore tecnico

Una traduzione finita appare quasi sempre impeccabile. Frasi ben costruite, una terminologia coerente, nessuna traccia di fatica. Guardando il file finale, nessuno immagina che lungo il percorso qualcuno possa aver passato ore in reparto con il casco in testa, chiedendosi se ciò che ha appena sentito fosse una definizione, una scorciatoia mentale o semplicemente la stanchezza dopo dodici ore di avviamento.

O che abbia fatto la stessa domanda per la terza volta, perché ogni risposta era sempre Sì, ma non esattamento così.

Se in questo testo dovesse sembrare che regni il caos, niente paura: nella traduzione consegnata al cliente non se ne vedrà traccia.

Il contesto che non entra in un file

Prima che venga scritta la prima frase, succedono molte cose che non possono essere salvate in Word. Conversazioni a margine, domande fatte davanti alla macchinetta del caffè, commenti a mezza voce durante una riunione. La documentazione dice una cosa, la realtà del progetto un’altra, e la verità si trova quasi sempre nel mezzo.

È il momento in cui il traduttore tecnico inizia a lavorare, anche se formalmente non sta ancora traducendo nulla. Cerca di capire a che punto sia davvero il progetto, chi prenda le decisioni e cosa, in quel momento, sia più un auspicio che un dato di fatto. Tutto questo non si vede nel testo finale, ma senza questa fase il testo semplicemente non funzionerebbe.

Prima delle parole, i significati

Una delle parti più dispendiose in termini di tempo è stabilire cosa significa qualcosa, prima ancora di decidere come chiamarla. Lo stesso elemento può essere descritto in modo diverso dal progettista, dal produttore e dal team in campo. Tutti hanno ragione. Dal proprio punto di vista.

In questa fase il traduttore non è né arbitro né autore. È piuttosto chi si accorge che queste prospettive non coincidono del tutto e cerca di farle avvicinare almeno nel testo. È un lavoro che richiede tempo e che, nella maggior parte dei casi, non lascia alcuna traccia visibile.

Domande fatte troppo tardi, ma al momento giusto

I cronoprogrammi sono inflessibili. C’è sempre qualcosa che dovrebbe essere già pronto, chiuso, approvato. Eppure, a volte, è necessario fare una domanda proprio quando tutti sono ormai un po’ stanchi dell’argomento. Non perché qualcuno abbia mancato una scadenza, ma perché solo allora diventa evidente che qualcosa non torna.

Queste domande non finiscono nella documentazione. Non compaiono nelle note né nei commenti. Ma senza di esse molti passaggi resterebbero solo una sequenza di parole ben scritte, non una descrizione concreta di ciò che deve funzionare davvero.

Micro-decisioni che nessuno nota

Gran parte del lavoro del traduttore tecnico è fatta di decisioni minuscole. Minuscole davvero. Centinaia di scelte: come chiamare qualcosa, quanto essere coerenti, quanto aderire a un originale che a sua volta non è sempre coerente con sé stesso. È quel tipo di lavoro in cui più sai, meno senti il bisogno di metterti in mostra.

Lo scenario migliore è quello in cui nessuno si accorge che queste decisioni siano mai state prese. Se nessuno le nota, significa che il traduttore ha fatto un ottimo lavoro. Se il lettore non deve fermarsi a riflettere, vuol dire che qualcun altro lo ha fatto prima. La traduzione è uno dei pochi ambiti in cui l’assenza di reazioni può essere una forma di apprezzamento.

Il tempo fra una cosa e l’altra

Esiste poi un tempo che è difficile definire lavoro in senso stretto, ma che senza il lavoro non esisterebbe. L’attesa delle risposte. Le pause tra una fase intensa e l’altra. Il momento in cui il progetto resta in sospeso e il traduttore aspetta, controllando di tanto in tanto la posta, sapendo che una sola frase potrebbe ancora cambiare.

Questo ritmo irregolare fa parte della quotidianità dei progetti internazionali. Non è spettacolare, non si presta agli aneddoti (a meno che non si parli di caffè freddo), ma influisce in modo molto concreto sulla qualità del testo finale.

Lo strato invisibile

La traduzione finita non racconta quante volte qualcuno abbia cambiato idea, quante versioni abbia avuto una decisione o quante piccole correzioni siano state necessarie perché tutto iniziasse ad avere senso. Ed è giusto così. Il testo finale non è il posto per i retroscena.

Vale però la pena ricordare che più il risultato appare pulito, più cose devono essere successe prima. Fuori dal testo, fuori dal file, spesso fuori dall’inquadratura. Il progetto successivo inizierà nello stesso modo. E ancora una volta, nel documento finale non si vedranno né il caos, né l’incertezza, né i pantaloni strappati contro una parte sporgente dell’impianto.

Per fortuna.
Perché significa che il testo sta facendo il suo lavoro.

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